Stereotipi in palestra

"Quante serie ti mancano?"

Michelle 09
Michelle 09
Michelle 09

20/01/2025

Oggi voglio parlare di una delle piaghe sociali più sottovalutate della palestra: la domanda che mette in crisi anche il più pacifico degli esseri umani. Sì, sto parlando di lei, “Quante serie ti mancano?”. E non è solo la domanda in sé, è l’insistenza, è l’occhio giudicante, è quella vibrazione passivo-aggressiva che ti fa desiderare di avere una maglietta con scritto: “Sto facendo il meglio che posso, grazie.”

Ora, capiamoci: non è che io voglia occupare la panca per sempre. Lo so che è una risorsa limitata, un po’ come il wifi gratuito in aeroporto. Ma c’è un confine sottile tra chiedere con cortesia e diventare un detective privato del fitness. E in palestra c’è sempre quel tipo che si trasforma in un misto tra Sherlock Holmes e un controllore del treno: “Scusa, quante serie ti mancano?”, seguito da un’occhiata che sembra dire: “Non osare mentire, ti sto cronometrando.”

Il problema è che la domanda arriva sempre nei momenti peggiori. Magari hai appena iniziato, hai ancora l’energia di un bradipo al risveglio e ti stai concentrando per non sembrare un disastro mentre sollevi quel peso. Oppure è il tuo ultimo set, quello decisivo, quello in cui vuoi sentirti un eroe, e invece devi interromperti per rispondere a qualcuno che ti fissa come se avessi rubato l’ultima fetta di torta al buffet.

Ma la parte più surreale è quando non si accontentano della risposta. “Mi mancano tre serie,” dici, sperando di liquidare la questione. E invece loro restano lì, in piedi, accanto a te, con la bottiglietta d’acqua in mano e lo sguardo di chi sta valutando se è socialmente accettabile condividere la panca con uno sconosciuto. Oppure ti piazzano addosso quella pressione psicologica sottile ma inesorabile, facendoti sentire come un ospite che sta esagerando con il buffet: “Ah, tre? Ehm, ok...”. Che tradotto significa: “Tre sono troppe, muoviti.”

Ci sono poi i campioni della ripetizione, quelli che te lo chiedono ogni due minuti, come se la tua risposta potesse magicamente cambiare. “Quante serie ti mancano?” rispondi. Passa un minuto: “Scusa, ora quante serie ti mancano?”. A quel punto inizi a chiederti se stai facendo squat o giocando a una versione esasperante di “Indovina chi?”. Mi aspetto quasi che tirino fuori una clessidra e inizino a cronometrarmi.

E vogliamo parlare di quelli che si piazzano davanti a te con la loro borraccia da due litri e iniziano a fare stretching mentre aspettano? È un’esperienza surreale: tu sei lì che cerchi di concentrarti, ma loro sono così vicini che inizi a chiederti se ti stanno allenando a mantenere la calma sotto pressione.

La cosa peggiore, però, è quando sono troppo insistenti e finiscono per mandarti completamente fuori ritmo. Sei lì che cerchi di contare le tue ripetizioni (“Sette, otto, nove...”) e invece nella tua testa parte un mantra: “Quante serie ti mancano? Quante serie ti mancano? Quante serie ti mancano?”. Finisce che fai dieci ripetizioni di troppo solo per dimostrare che sei veramente impegnato.

Ma sapete qual è la verità? La maggior parte delle persone che fanno questa domanda non si rendono conto di quanto possano essere stressanti. Non è cattiveria, è solo impazienza mista a un pizzico di ansia da prestazione. Però, se mi permettete un consiglio, forse dovremmo tutti ricordarci che la palestra è un posto per migliorare noi stessi, non per farci diventare giudici uno dell’altro. La prossima volta che vedo qualcuno aspettare la mia panca, gli sorrido e dico: “Finisco subito, tranquillo!”. Ma dentro di me continuerò a pensare: “Quante serie mi mancano? Abbastanza per farti riflettere sulla pazienza, amico mio.”